Non è necessaria la diagnosi di follia, e neanche l’abuso di psicofarmaci, per trovare il coraggio di ammazzare moglie e figli. Forse basta semplicemente aver paura di riconoscere i propri fantasmi interiori, e sentirsi in diritto di sfogare i propri egocentrici istinti. Lo fanno molti uomini, e non le donne. Perché? Per spiegarlo non bastano i sociologhi: è una materia da psicoanalisti, abituati a scandagliare bene gli oscuri labirinti dell’animo umano. Ma fa venire i brividi leggere quello che scriveva Sibilla Aleramo (oltre un secolo fa!) nel suo primo romanzo (molto autobiografico), con il quale entrò nel mondo della letteratura italiana e internazionale. Una frase a pagina 116 sembra quasi il commento alle gesta del pluriomicida di Motta Visconti che ha sgozzato la sua famiglia per un’incontenibile e incoercibile voglia di libertà. Programmando il suo delitto atroce con freddezza aliena. Così almeno hanno riferito le cronache.
«Tra le due fasi della vita femminile, tra la vergine e la madre, sta un essere mostruoso, contro natura, creato da un bestiale egoismo maschile: e si vendica, inconsapevolmente. Qui è la crisi della lotta di sesso. La vergine ignara e sognante trova nello sposo un cuore triste e dei sensi inariditi; fatta donna ed esperta comprende come il suo amore sia stato prevenuto da una brutale iniziazione. Fra i due torna spesso l’intrusa, e il solo ricordo avvilisce ogni loro bacio.»
Sibilla Aleramo, Una donna (1906)